La Mindfulness è la pratica per eccellenza della Psicologia Positiva e ultimamente se ne sente parlare sempre più spesso.
Ma cosa significa esattamente Mindfulness?
Purtroppo, come tantissimi termini del gergo psicologico, anche questo viene abusato e stravolto dal suo significato originale. Siamo abituati, infatti, a leggere di Mindfulness nel calderone ormai informe delle tecniche di rilassamento.
ERRORE MADORNALE!
Il rilassamento è solo un effetto secondario e collaterale della nostra pratica. Cerchiamo di capire meglio!
Esistono diverse definizioni di Mindfulness, quindi non starò a citare nello specifico Kabat-Zinn, Bishop o Siegel, ma cercherò di unire i punti delle loro descrizioni: Mindfulness è l’osservazione e l’accettazione consapevole del momento presente con atteggiamento aperto e non giudicante.
Osservazione consapevole: non passiva. Siamo abituati che la nostra mente vaghi nei pensieri stressanti, tra impegni lavorativi e incontri sociali, senza vivere il momento presente, il qui e ora. Mindfulness è uscire da questo “pilota automatico” ed essere presenti a noi stessi.
Accettazione: ci sono cose su cui abbiamo potere (molte più di quelle che pensiamo!), ma per modificarle dobbiamo accettare il fatto che siano. Analogamente, soffrire per quelle su cui non abbiamo potere ci porta a un dispendio di energie inutile, energie che invece sarebbe meglio investire in altre attività più funzionali al nostro benessere.
Momento presente: l’unico momento in cui possiamo agire. Il passato è andato e non è più modificabile e il futuro non è ancora arrivato. Solo in questo esatto istante posso fare qualcosa di concreto per stare bene.
Non giudicante: ognuno di noi legge e interpreta il mondo con il proprio filtro dato da esperienze passate, credenze, valori. Ma questo filtro è assolutamente soggettivo e limitante. Guardando il mondo con questo atteggiamento andiamo a filtrare le esperienze che arrivano, selezionando solo quelle già conosciute. Se invece ci mettiamo in una assetto mentale disponibile al nuovo, ecco che le possibilità che si aprono davanti a noi diventano infinite, non filtrate da quelle che possiamo già conoscere.
Lo stretto di Messina, un paio di settimane fa
Per fare questo, sono stati individuati 8 atteggiamenti adeguati a favorire la Mindfulness, ovviamente sono interconnessi e collegati tra di loro, ma li differenziamo per semplicità esplicativa:
Mente del principiante
Proprio per evitare di filtrare le esperienze che ci possono arrivare è utile mettersi nell’ottica del principiante che non conosce le cose che vede e le osserva con curiosità e stupore. Non sapendo cosa aspettarsi da qualcosa, lo si vive in modo pieno e totalmente coinvolgente.
Non giudizio
Anche il giudizio limita la percezione delle cose. Giudicare qualcosa, in bene o in male, rischia di farci perdere di vista le sfumature che possono stupirci, sia che si tratti di un’esperienza che di un oggetto da ammirare. Non giudicare ci permette anche di essere più tolleranti e quindi più disponibili e propositivi davanti alle cose che vogliamo modificare.
Riconoscimento
Identificare e riconoscere ciò che avviene dentro di noi (pensieri, sentimenti, credenze, desideri, bisogni, emozioni) ci permette di “dis-identificarci” con ciò che ci fa stare male (io non sono il mio pensiero) e vivere con maggior leggerezza ciò che è. Ci permette anche di intervenire nelle nostre reazioni e quindi non agire impulsivamente rischiando di peggiorare le cose.
Non intervento
Quando ci troviamo in uno stato di ansia, tendiamo ad agire e questo, il più delle volte, porta ad essere controproducenti rispetto allo scopo che vogliamo ottenere. Imparare che NON fare, a volte, è l’unica azione utile e riuscire a metterla in atto è fondamentale. Se voglio vedere un bruco che diventa farfalla posso solo aspettare. Se presa dall’ansia prendo una coltello e taglio il bozzolo, quella farfalla non la vedrò mai.
Equanimità
Sviluppare un atteggiamento equanime significa essere quanto più possibile imparziale rispetto a ciò che accade. Questo modo di fare non deve essere confuso con l’apatia o con il disinteresse verso gli accadimenti, ma piuttosto va inteso come la capacità di accettare ciò che arriva e viverlo nel migliore dei modi: con curiosità, interesse, consapevolezza.
Pazienza
Anche nella pazienza è fondamentale il concetto di accettazione, unito alla capacità di osservare ciò che si prova e dargli una significato. Molto spesso ci spazientiamo per delle cose che in realtà non ci interessano realmente, ma che risvegliano inconsciamente ricordi, sentimenti, emozioni che non tolleriamo. Imparare a collegare ciò che si accende dentro di noi con ciò che è successo e ciò che proviamo è fondamentale per coltivare la pazienza e combattere la frustrazione.
Fiducia
Nell’ottica di un atteggiamento equanime e non giudicante, è possibile sviluppare la fiducia nella vita e nel fatto che tutto andrà come deve andare (e non necessariamente come lo desideriamo noi). Questo atteggiamento è utile a limitare l’ansia del futuro e il senso di inadeguatezza.
Compassione
Ultima, ma non meno importante, è la compassione. Provare empatia per chi ci circonda, imparare a mettersi nei suoi panni (fatti di vissuti, credenze, emozioni ecc.) aiuta a sviluppare quel senso di connessione tra esseri umani necessario al nostro benessere. La compassione, però, va sviluppata prima di tutto verso noi stessi, rendendoci contro che non siamo infallibili e che molto spesso ci colpevolizziamo per cose inevitabili e chiediamo troppo a noi stessi. Sviluppare compassione significa sviluppare e moltiplicare l’amore che si prova verso se stessi e verso gli altri.
Ciascuna di queste capacità deve essere quanto più in equilibrio possibile perché se troppo “debole” ovviamente sarà carente, ma anche se troppo presente può creare delle difficoltà.
Ad esempio, prendiamo la fiducia. Se siamo troppo sfiduciati verso il futuro vedremo tutto nero e, oltre a essere tristi, penseremo che ogni sforzo sia vano tanto “andrà tutto male”. Allo stesso tempo se abbiamo troppa fiducia che tutto andrà bene, probabilmente non ci impegneremo per raggiungere i risultati che desideriamo, dando per scontato che arriveranno da soli. Questo ragionamento, del “troppo che stroppia”, può essere adattato a tutti gli atteggiamenti che abbiamo esposto. Questo significa che la ricerca finale è quella dell’equilibrio tra la ricerca di ciò che ci fa stare bene e l’accettazione di ciò ce non possiamo cambiare e tra il migliorarci ogni giorno ma accettando i nostri limiti.
Vuoi imparare a sviluppare questi atteggiamenti? Contattami!
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